Alessandro Danzini, nato a Pisa nel 1974, vive da sempre a Livorno.
Partito dalla importante tradizione che caratterizza la scuola toscana, è approdato ad una pittura in cui l’analisi del dettaglio, la cura del particolare, la costruzione attentamente studiata, la precisione del tratto, allontanano da qualsiasi retaggio di sapore macchiaiolo.
Le immagini che ritraggono la costa toscana, paesaggi, scorci, marine, sono resi con accentuato realismo, lontano però da una fedele e fredda rappresentazione della realtà oggettiva.
Sono prospettive inedite, che nulla hanno della cartolina paesaggistica, ma che propongono interpretazioni più intime. Il sapore del mare, la luce vibrante, gli azzurri intensi stimolano le nostre emozioni. Ma l’attenzione è concentrata sulla roccia. In primo piano, in una angolazione che falsa le proporzioni, la vediamo aspra, tormentata, lacerata, martoriata dalla forza del sale, del vento e del mare. Un dialogo tra il moto impetuoso degli agenti erosivi e l’immobilità impotente della roccia, tra l’azione distruttiva e la genesi di una grande bellezza. I giochi della luce nelle ferite delle rocce, le mirabili architetture, le spettacolari variazioni di colore delle concrezioni, sono un inno alla forza plasmante della natura, generatrice di straordinarie meraviglie. Allo stesso tempo un richiamo alla transitorietà dell’effimera vita terrena, alla precarietà e caducità di ogni cosa.

Maria Teresa Majoli


Alessandro Danzini vive ai margini della scogliera labronica, nella costa toscana. La sua arte negli anni si è permeata della storia culturale e della geografia dei suoi luoghi. La tradizione macchiaiola e i colori e le forme tipiche di quel lembo di terra si uniscono e insieme si evolvono in una caratterizzazione di tecnica e composizione. Le inquadrature di Alessandro non sono mai scontate e sono studiate per proiettare l’osservatore direttamente all’interno del panorama. Le sue opere celebrano e monumentificano la bellezza di quei luoghi, rendendola immortale ma sottolineando la sua fragilità. L’altra faccia del suo lavoro è infatti apertamente critica verso l’invasività degli interventi umani, che rischiano di alterare quel delicato equilibrio che crea quel patrimonio umano chiamato bellezza

Silvia Rossi – Expart Galleria d’arte 2018


La sua pittura nasce dal cuore macchiaiolo e paesaggista della costa tirrena, passando per l'impressionismo, fino a riavvicinarsi a una pittura figurativa che di classico ha solo il medium, quello dell'olio.

Le marine si staccano infatti dalla radicata idea che abbiamo di esse, diventano opere il cui fulcro vitale si sposta leggermente e, pur lasciandoci avvolti in un sentore di salsedine, fa virare la nostra attenzione verso particolari incredibili del litorale labronico, ricchi di colori, geometrie, astrazioni e architetture naturali.

Ecco come la pietra, mai cosÏ viva, si erge a protagonista. Gli azzurri del mare e del cielo amplificano le calde note del sole che bacia gli scogli, sottolineandone curve e convessità. L'acqua è un meraviglioso scultore, perfettamente immortalato da Alessandro, che omaggia la sua terra e la ricca storia pittorica che la attraversa con opere che diventano un'istantanea, un monumento alla transitorietà.

Marco Botti


La pittura di Danzini è un viaggio, profondissimo e misterioso, ai confini della terra proprio là dove inizia il mare. Una linea sottile demarca queste due sfere in reciproco movimento ma, sembra dirci Danzini, la vita si manifesta sempre: nel mare con un infinito movimento molecolare. Continua sulla terraferma, sulle rocce soprattutto, oggetto di plurisecolare erosione e proprio per questo visivamente assai suggestive. Infatti Danzini procede con impetuosi spunti iperrealistici alla ricerca di quella precisione estrema che dal piano biofisico sconfina in quello escatologico-religioso. E, ricordiamo, come sovra terra e mare si stagli – silenzioso e poetico – un cielo uniforme che, con tratto perentorio, riunisce e avvicina umano e divino.

Fabio Bianchi


Alessandro Danzini, nato a Pisa nel 1974, vive da sempre a Livorno, città che ha profondamente nel cuore.
I suoi lavori, che non possono non colpire per precisione e analisi dei minimi dettagli, sono frutto di uno studio lungo e intenso. Paesaggi, scorci, marine, sono resi con accentuato realismo. Ogni opera è attentamente pensata, studiata nel progetto, nella costruzione, nella prospettiva della luce, e la perfetta padronanza dei mezzi espressivi, lungi dall’inaridirla, traduce perfettamente l’emozione, e la trasmette con grande compostezza. Le sue scogliere sono indimenticabili!
La sua formazione è alla base di tutta la sua esperienza artistica. Partito dalla volontà di mettere a frutto nel migliore dei modi le sue manifeste doti naturali, ha dedicato molto allo studio del disegno e della progettazione frequentando l’istituto per Geometri, costruendo le basi tecniche e terminando con la laurea in Conservazione dei Beni Culturali, affinando la sensibilità attraverso lo studio dei grandi maestri.

Maria Teresa
Galleria d’Arte “Il Melograno” Livorno.


Nuove Vedute di Alessandro Danzini

La qualità che maggiormente colpisce chi da tempo segue con attenzione il percorso artistico di Alessandro Danzini è la sua totale, costante e incrollabile dedizione all'Arte: dedizione che l'artista ha mantenuta intatta in questi lunghi e intensi anni di attività; e che ha visto nella personalissima scelta pittorica una dei suoi migliori caratteri. 
Fin dagli inizi infatti Danzini ha voluto cimentarsi con il solo genere della "veduta di paesaggio", rielaborandolo in verità secondo il suo intimo sentire e seguendo un'inclinazione profonda e radicata che, allora come adesso, possiede fondamenti ben precisi e mai elusi: la Natura come unica e vera fautrice di bellezza. Una Natura che dall'artista viene visceralmente analizzata ed esaltata nella cura dei particolari che la compongono - non nel senso di uno scontato iper-realismo ma secondo un procedimento che ricorda molto da vicino l'en plein-air di storica memoria - e dove ogni elemento conserva "naturalmente" la sua scintilla vitale e, come tassello di un puzzle, va a comporne la visione d'insieme. 
La lenticolarità con cui Danzini analizzava gli elementi nelle sue opere più datate viene oggi ad accompagnarsi a una più attenta indagine spaziale che trova nell'arditezza degli scorci la sua naturale conseguenza: alla visione frontale, alla costruzione filaretiana semplice o anche canonicamente assonometrica, Danzini sostituisce ora una prospettiva più scartante, bizzarra e nervosa, giocando con i tagli e le inquadrature, con gli angoli e con lo slittamento dell'orizzonte classico che l'artista sente come vincolo. 
Tale fare artistico, già di per sé antistorico e se vogliamo controtendenza rispetto alla celebre scuola di paesaggio livornese alla quale pure egli sente di appartenere, ha il suo fulcro nella scelta di quei soggetti che, seppur presenti, avevano sempre reso omaggio alla veduta marina come corollari o semplici comparse; ma che per Danzini sono invece diventate fonti di ricerca continua e di sperimentazioni senza fine. 
---Lo scandagliare l'orografia delle coste o del modularsi delle rocce alla (ri)scoperta di paesaggi dal sapore lunare, inverosimili ecosistemi creati dall'azione delle onde e del vento, ha portato Danzini all'individuazione di un differente concetto di "veduta marina", ribaltando la situazione e tramutando delle comparse in "attori protagonisti": soggetti - le rocce appunto - di una Natura "altra e insospettabile" che, nelle sue tele, prende vita. 
Ogni puntuale pennellata, ogni gioco di luce - sempre sapientemente dosato dall'artista - tende a evidenziare questa "presenza vitale". E nel cogliere gli aspetti tremendamente pulsanti dell'inanimato, egli una volta di più accentua la totale assenza dell'uomo e del suo intervento, mancanza che diventa cardine in queste sue "nuove" vedute. --- 
Ciò che noi continuiamo a considerare come una "rivoluzione artistica" nella pittura di paesaggio - per modalità pittoriche e certe finalità concettuali - accompagna dunque lo spettatore all'interno di una visione d'insieme dove la riconoscibilità mnemonica o la localizzazione geografica non hanno più l'importanza d'un tempo; e dove la plausibilità naturalistica gioca un ruolo fondamentale. La visione proposta diviene così totale e particolare allo stesso tempo; e il già citato lenticolare approccio agli elementi che Danzini da sempre utilizza si arricchisce in questo suo nuovissimo corso di un'armonia in precedenza certo cercata - ma spesse volte solo allusa - che ora trova piena risultanza visiva, sintomo di una sensibilità artistica enormemente accresciuta.

Francesco Mutti


Artista autodidatta emergente, per quanto attivo nel mercato privato, sin dagli esordi alla ricerca – soprattutto qualitativa – di una lenticolarità visiva ed emozionale che la natura degli amati paesaggi della costa toscana gli trasmette, e che straordinariamente, per studi e per capacità, sembra appartenergli, ponendolo quasi in controtendenza rispetto alla maggior parte della produzione artistica locale a lui contemporanea. Danzini è con questa in accordo quando, sensibile agli effetti di luce e d’atmosfera che cristallizza in momenti assoluti, dipinge le sue marine attorno Livorno o le campagne e i borghi medievali, con semplicità e dovizia di particolari, senza lasciar mai niente al caso e conservando la freschezza di un’istantanea. Attratto dalle vedute tout-court e dai significati più profondi della Natura, il pittore asseconda questa sua passione rappresentando con frequenza anche quei luoghi delle nostre Alpi ai quali egli si sente ugualmente legato e che stimolano la sua curiosità per soggetti certo inconsueti nella produzione locale. Mantenendo le maestose sensazioni di solitudine e di pace che appartengono ai nostri rilievi più famosi, e facendo propria l’intima varietà delle nostre coste, Danzini combina assieme arte ed emozioni: le sue opere sono fatte per essere osservate sia da una distanza ravvicinata, in grado di chiarire nel migliore dei modi quel suo fare pittorico alla luce di minuziose e ragionate pennellate; sia da lontano, in una visione d’insieme che sorprende ogni volta come fosse la prima. 

Francesco Mutti


Danzini Alessandro intreccia con la natura un rapporto d'intensa passione, varcando con coraggio il regno del mistero assoluto relativo ai vari elementi del creato.

Anna Francesca Biondolillo
BOE' Periodico bimestrale di informazione artistica e cultura - Anno VI - n° 6 Novembre - Dicembre 2009. Editore "Centro Diffusione Arte"


INTERVISTA AD ALESSANDRO DANZINI
A partire dagli anni Quaranta del Novecento, complici i repentini cambiamenti subiti dalla società nel periodo bellico e post-bellico, numerosi artisti sentirono il bisogno di percorrere nuove strade in campo artistico, di codificare nuovi linguaggi che andassero a rompere con il passato e fossero in grado di dar voce alla condizione umana e sociale dell’epoca. Ciò che si era creato fino ad allora a un tratto parve inopportuno, quantomeno superato: irrimediabilmente segnata dagli eventi la tela divenne campo di battaglie cromatiche, di gesti, di sofferti tagli, scardinando volontariamente tutto quello che fino ad allora aveva accolto. L’artista abbandonò la rappresentazione della realtà per dar vita a paralleli mondi astratti.

A distanza di decenni, ancora adesso l’arte pare trarre spunti da quel periodo storico ormai lontano, proponendo opere che vorrebbero essere provocatorie, di rottura e che spesso si servono di materiali o modalità nuove (la performance, le installazioni) estendendo il concetto d’arte ad altre numerose tipologie di manifestazioni.

Incurante di ciò che il mondo dell’arte contemporanea vorrebbe proporre, si muove deciso Alessandro Danzini, giovane paesaggista livornese che ha invece riscoperto nella Natura l’elemento fondante della sua pittura. In una società come l’attuale, in cui tutto scorre velocemente, Danzini riesce ancora a emozionarsi di fronte a un paesaggio e a farlo rivivere nelle proprie opere come se fosse un momento epocale. Dopo anni di arte introspettiva, Alessandro riallaccia dunque lo stretto legame che unisce l’uomo all’ambiente, mettendosi totalmente al suo servizio come tramite della sua magnificenza. 

L’andar contro alle più attuali tendenze dell’arte per riappropriarsi di un genere classico quale il paesaggio, esponendosi a eventuali perplessità, fa di Danzini un pittore dal carattere e dalla personalità forte, in grado di imporsi e distinguersi dalla massa.

Sara Delussu: Come e quando è iniziata la tua passione per l’arte?

Alessandro Danzini: Il mio interesse per il disegno e la pittura inizia molto presto, diciamo fin da piccolo, alimentati, intorno agli ultimi anni di scuola elementare, da una figura per me molto importante quale quella del maestro di educazione artistica: ogni settimana, infatti, era solito farci copiare con varie tecniche opere di artisti famosi della storia dell’arte. I soggetti prescelti erano per lo più paesaggi e marine, che noi alunni eseguivamo sia con semplici matite che, più avanti, con pastelli e gessetti. Credo che la mia vera passione per la pittura sia nata proprio lì, incuriosito ed entusiasmato dai miei continui progressi nella tecnica. Anche se una vera e propria consapevolezza delle mie doti si materializza intorno al 2000 quando, quasi per gioco, ancora studente universitario, riprendo in mano i pennelli ed inizio a delineare paesaggi con tempere su semplici pezzi di carta. Da quel momento il mio “impegno” per l’arte è stato costante. 

SD: Quale tecnica caratterizza le tue opere più recenti?

AD: Da molti anni uso solo l'olio su tela poiché credo sia la tecnica più affine al mio modo di concepire la pittura. In contrapposizione con le ultime tendenze dell’arte contemporanea, amo infatti mantenere uno stretto legame con quella che è la tradizione pittorica, se vogliamo anche labronica, mettendomi continuamente alla prova con l’uso dei colori: proprio per questo mi definisco semplicemente “pittore” e non “artista”; il pittore è infatti colui che, senza velleità di clamore, riesce a fissare su un supporto le sue volontà solo con un pennello, magari una spatola e degli oli, rifacendosi alla vecchia tradizione artigianale. I miei studi all'istituto tecnico mi hanno insegnato inoltre un certo rigore nel “fare”, l’importanza della conoscenza della prospettiva e delle proporzioni, che trovo siano effettivamente alla base di una buona pittura. 

SD: Dall’osservazione delle opere è evidente la tua predilezione per il paesaggio: non temi, dedicandoti a questo genere, di dipingere opere “già viste”? Che cosa pensi di proporre in più rispetto agli altri paesaggisti?

AD: Certo, quello del paesaggio è sicuramente un genere ampiamente dipinto nei secoli. La mia è prima di tutto una personalissima visione di quello che mi circonda. Il concetto base è molto semplice: giorno per giorno la Natura ci offre i suoi spettacoli i quali, in quanto inediti, risultano irripetibili. Perciò, nel mio piccolo, posso dedurre che non può esistere un’opera uguale o simile alla mia in quanto ognuna delle mie tele cristallizza un momento unico nel suo genere. Ammetto del resto che, di questi tempi, è molto difficile proporre cose totalmente innovative: basta analizzare molte delle opere astratto-informali d’oggi che, secondo me, rielaborano senza neppure troppa attenzione esperienze proposte già negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, non apportando alcuna novità. La mia pittura vuole essere palesemente contemporanea ma tenta di non emulare le passate esperienze macchiaiole, esperienze che chiaramente hanno segnato il mio territorio: ecco allora il mio curare all’eccesso il segno, le linee, le sfumature, fino a che non raggiungo l’obiettivo prefissatomi. La pittura "di macchia" mi lascia infatti una sensazione di incompletezza, di "non finito" che io esorcizzo curando i minimi dettagli, ripensando a esperienze artistiche del Seicento come quelle di Poussin o del Lorenese. Tuttavia la mia pittura, nella sua ricerca di aderenza al reale, non vuole affatto essere fotografica né tantomeno iperrealista quanto promuovere il suo principale carattere nel lungo e sapiente lavoro artigianale, nella pennellata che si mostra per quello che è, nella materia pittorica sulla tela. La Natura ha per me un tale fascino che rappresentarla diventa quasi una necessità, un mezzo per renderle omaggio. Il mio dipingere solo paesaggi è un modo per rimanere “fedele” alla Natura: non amo infatti spaziare da un genere all’altro, non ho bisogno di dimostrare che ho una "buona tecnica". Ma che ho trovato una mia precisa strada artistica questo sì! Trovo molto coraggioso, ai nostri tempi, imporsi con un genere artistico classico come la veduta perché esprime sicurezza e consapevolezza delle proprie scelte, anche se ciò significa andare contro a quello che mercato e “moda” impongono.

SD: I tuoi passati studi universitari di storia dell’arte ti hanno certamente fatto conoscere numerosi stili e tendenze artistiche: hai dei maestri a cui ti ispiri nel modo di dipingere?

AD: Sebbene ci siano pittori che preferisco ad altri, non attingo mai da uno in particolare perché, come dicevo, ho un modo tutto personale di avvicinarmi alla Natura. Sono orgogliosamente autodidatta, non amo ispirarmi ad altre visioni ma concentrarmi sul mio lavoro dipingendo il soggetto come lo desidero e non come i precetti accademici vorrebbero. 

SD: Che cosa pensi delle forme d’arte proposte negli ultimi anni?

AD: Trovo che ai giorni d’oggi ci siano troppi “artisti” improvvisati, che non hanno alle spalle una solida conoscenza della tecnica artistica - per me fondamentale - ma solo giuste conoscenze nel settore del mercato. A differenza dei grandi maestri quali Kandinskij o Mondrian per esempio, che sono giunti a forme astratte dopo una lunga carriera figurativa - e quindi dopo un preciso e calcolato cambio di rotta -, molti giovani d’oggi approdano all’arte con troppa superficialità, producendo "oggetti" senza un senso storico o culturale, togliendo loro importanza e credibilità. Credo per questo fermamente nelle potenzialità della Natura e nell’attenta sapienza del “pittore” nel coglierne gli aspetti più interessanti. 

SD: Come scegli i tuoi soggetti?

AD: La scelta dei soggetti è per me un momento fondamentale. Dipingo infatti attimi e luoghi che mi colpiscono per la loro intensità. Ritengo di avere una sensibilità molto spiccata: mi capita spesso, anche se impegnato a fare altre cose, di rimanere folgorato da certi scorci, certi tramonti, e sentire immediatamente il bisogno di fermare quell’attimo su una mia tela. Amo dipingere le montagne, le rocce, ma il mio ambiente natio mi porta spesso a confrontarmi con il mare e la costa labronica. Non rappresento mai uomini perché li trovo elementi di disturbo all’interno dei miei paesaggi; inoltre l’uomo è l’unico essere vivente che, in maniera arrogante, troppo spesso non si integra con l’ambiente ma usa, sfrutta e deturpa la natura. Le uniche architetture dipinte sono quelle che per me meglio si armonizzano con la natura circostante. Generalmente fermo il momento prescelto con una fotografia che poi vado a reinterpretare su tela appena tornato in studio; alcune volte per afferrare aspetti che la fotografia non è riuscita a cogliere torno sul posto e mi riconfronto con le infinite sfumature che solo la natura può offrire… non serve inventare molto, la natura offre già tutto, sta solo al pittore coglierne i vari aspetti. 

SD: Che cosa prevedi nel tuo futuro artistico?

AD: Come ho già accennato amo molto dipingere montagne e rocce, in futuro vorrei poter spostare la mia attenzione dalle grandi vedute d’insieme allo studio dei più piccoli particolari, avvicinandomi, mettendomi affianco agli oggetti e rivelandone quelle caratteristiche che restano impercettibili all’occhio. Ho già iniziato a sperimentare questo nuovo modo di dipingere soffermandomi su alcune parti di scogliera, raggiungendo risultati soddisfacenti, quasi surreali nonostante mi sia limitato a dipingere solo ciò che avevo di fronte, senza aggiungere niente, a riprova del fatto che la natura di per sé può offrire spettacoli inusuali. 

SD: A che tipo di persone ti rivolgi dipingendo le tue opere?

AD: Mi rivolgo a tutti colori che, come me, riescono ancora a emozionarsi di fronte a uno scorcio, a un luogo, a una particolare luce; a tutti quelli che amano rendere eterna e far rivivere questa sensazione in un quadro. Non escluderei poi quelle numerose persone che, sia per gusto personale che per scarsa conoscenza della storia dell’arte, non riescono a percepire ciò che l’astratto propone, perché troppo concettuale o non immediato. 

Sara Delussu
curatrice d’arte


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